Hotel Profit Management: i buoni propositi
12/12/2016Hotel Profit Management: i buoni propositi
L’ inizio d’anno è per molti di noi il momento in cui formulare i nuovi propositi (o reciclarne di vecchi). Significa raccogliersi in un momento di confronto personale e, ripercorrendo i fatti e le situazioni principali dell’anno appena passato, tirarne le somme e porsi nuovi obiettivi. E’ un momento particolare che, se vissuto con autenticità, può regalare molti spunti di riflessione ed analisi.
Volendo fare un paragone, accade un po’ quel che dovrebbe accadere nel momento in cui si setta un budget aziendale. Si pone attenzione a ciò che ha funzionato o meno, a ciò che si vorrebbe migliorare, agli investimenti che possono/devono essere fatti, settando gli obiettivi economici (ricavi e costi).
Per l’hospitality management i buoni propositi possono riguardare ambiti che vanno oltre i meri fattori numerici. Si tratta per lo più di un’introspezione personale. Prendersi del tempo per guardarsi attorno e, per chi riesce, guardarsi dentro.
Se l’introspezione fosse condotta in maniera trasparente ed oggettiva, potrebbe far emergere diversi spunti di osservazione, riguardanti soprattutto sé stessi.
Credo che, in virtù del tipo di approccio all’analisi dei risultati ottenuti ed all’identificazione dei “buoni propositi”, le persone possano essere divise in due macro gruppi.
• Non Responsabili, quelli non in grado di pensare ed agire in modo responsabile
• Responsabili, quelli in grado di pensare e agire in modo responsabile
Voglio precisare che questa è una mia personale visione e che con questi termini mi riferisco a gruppi di persone osservandoli da un punto di vista professionale. Le mie competenze non mi permettono di entrare in ambiti, di cui mi interesso, per i quali non ho specifica preparazione. Mi limito a dire che, secondo il mio parere, un individuo, salvo situazioni complesse, non è scisso e/o scindibile in parti a seconda del momento che vive. La propria struttura di base (corpo, mente ed anima) resta la stessa durante l’arco dell’intera giornata, con sfumature più o meno importanti a seconda del contesto.
A volte ho l’impressione che in molte realtà legate al mondo dell’ospitalità di voglia vivere come in circo ossia mostrando al mondo che lo visita qualcosa di bello e spettacolare che però è solo facciata. La sostanza invece è ben altra e nasconde storie di patimento.
In una struttura alberghiera dove è stato inculcato il concetto che la forma e lo stile sono essenziali, dove vige la “regola del sorriso” a tutti i costi si avverte in maniera chiara questo finto interesse alla persona, questa accoglienza patinata di ipocrisia. Il proverbio recita:
“Non è l’abito a fare il monaco”
Le maschere che si possono indossare, nel vestire i panni del receptionist o del direttore d’hotel, prima o poi sono destinate a cadere ed emergeranno i veri tratti caratteriali della persona. I due macro gruppi di cui sopra possono essere brevemente descritti come segue.
I Non Responsabili: sono quelle persone che credono che tutto ciò che accade loro dipenda esclusivamente da fattori esterni. Essi ritengono che il proprio modo di essere non sia da mettere in discussione. Sono incapaci di rispondere in prima persona.(non si assumono responsabilità di alcun genere) e sono pronti a trovare scuse e colpevoli in ogni situazione. Per queste persone è il mondo a dover cambiare e i loro propositi sarebbero volti unicamente verso l’esterno. Secondo il loro pensiero dovrebbe cambiare il tal collaboratore, il tal cliente, un reparto intero e magari anche l’economia in generale. In poche parole, se qualcosa non funziona, non dipende mai da loro.
I responsabili: sono coloro che si interrogano spesso e si mettono in discussione (a volte anche troppo). Il responsabile crede che il cambiamento dovrebbe iniziare proprio da sè stesso. Sono certi che solo a patto che il cambiamento avvenga internamente sia possibile vederne gli effetti esternamente. Sono quelle persone che sanno prendersi cura e responsabilità per ogni fatto che le riguarda, in maniera più o meno diretta. Ogni accadimento è un’occasione per imparare qualcosa su di sé e per migliorarsi. A tal riguardo le domande che si pongono, in due situazioni topiche, potrebbero essere:
a) Accadimento con risvolti negativi: dove ho sbagliato?
b) Accadimento con risvolti positivi: ho fatto quello che dovevo, dove posso migliorare?
L’analisi interiore, che influenza direttamente ed indirettamente la propria crescita personale, potrebbe divenire via via sempre più consistente e profonda. Queste persone hanno fatto propria la frase del Mahatma Gandhi:
“Sii il cambiamento che vorresti vedere avvenire nel mondo”
Riprendendo l’oggetto dell’articolo, quali potrebbero essere allora alcuni buoni propositi? Qualsiasi sia il proprio proposito, l’aspetto più importante è definirne l’importanza. Quanto realmente si vuole vederlo tradotto in fatti? Quanto si tiene alla sua realizzazione? È forte il desiderio di realizzarlo tanto da farlo diventare un obiettivo personale? Se si, allora sarebbe bene esplorarne la fattibilità per esplorare oggettivamente quanto chiaro, definito, misurabile e strutturabile, anche in termini temporali, sia il proposito/obiettivo.
Per questo si può far ricorso all’acronimo S.M.A.R.T. ossia a quel metodo di definizione degli obiettivi utile a valutarne il grado di applicabilità, di chiarezza e di “tracciabilita”.
Specific (Specifico): l’obiettivo deve essere definito e tangibile. Se, ad esempio, un manager volesse migliorare la qualità delle relazioni tra collaboratori e reparti dell’azienda, il dire “voglio dedicare più tempo ai miei collaboratori” non è specifico. Nel caso di un di un capo reparto, direttore e proprietario di un’azienda turistica l’obiettivo, per essere specifico, dovrebbe, per esempio, essere tradotto in
• “voglio investire dieci minuti alla settimana per relazionarmi con ogni singolo collaboratore creando una sua scheda personale con obiettivi personali, punti di forza e debolezza.
• “voglio investire dieci minuti al giorno con ciascun reparto per verificarne le dinamiche relazionali e la comunicazione intra-reparto e tra i diversi reparti.
• “voglio organizzare una riunione settimanale di reparto (mezz’ora) e una riunione mensile con tutto lo staff (1 ora) per condividere idee, problematiche e soluzioni. Con il supporto di una scheda tecnica, nella quale sono riportati gli argomenti/situazioni da risolvere/approntare, tengo traccia dello stato avanzamento lavori. (questo si tradurrà poi nella rivisitazione delle best practices e manualistica interna)
Measurable (misurabile) L’obiettivo deve poter essere misurato attraverso un valore numerico. Continuando nell’esempio precedente:
• Dato che il miglioramento del clima aziendale si riverserebbe anche sulla qualità dell’accoglienza e della gestione voglio passare da 8.4 a 9.1 il punteggio che il cliente assegna a questi aspetti sul questionario di soddisfazione che compila (e che mi dimostra anche sui travel portal con i vari risvolti sulla brand reputation).
Achievable (raggiungibile/attuabile): l’obiettivo deve essere coerente e compatibile con il contesto e con le risorse a disposizione. Si devono stabilire quali azioni, nel concreto, possono essere intraprese per raggiungere l’obiettivo. Quanto più un’obiettivo riguarda l’azienda nel suo insieme tanto più è necessario comprendere se l’organizzazione aziendale ha le giuste risorse per raggiungerlo. Nel nostro esempio, direi che è raggiungibile.
Realistic (realistico): la sua realizzazione è possibile? Esistono fattori, interni o esterni, che possono pregiudicarne la realizzazione? I miei collaboratori saranno disponibili a dedicare del tempo alle riunioni di reparto o di tutto il personale? Io ho il tempo da passare con le risorse umane e nei reparti? Significa che devo “sporcarmi” le mani per riprendere in mano un’operatività che ho dimenticato, ne ho voglia?
Time-related (soggetto ad un’estensione temporale): il raggiungimento dell’obiettivo deve avvenire all’interno di un periodo temporale definito. Se l’obiettivo prevede dei passaggi intermedi, allora è bene pianificarli determinando una cronologia di attività ed eventi. Tornando al nostro esempio, tre mesi potrebbe essere un periodo accettabile per assestare il modello e vedere i primi risultati con successive fasi di analisi ed eventuali rivisitazioni trimestrali. L’anno può corrispondere all’intero periodo temporale definito come utile per il raggiungimento dell’obiettivo.
Concludo questa prima parte dell’articolo ricordando che un buon modo per far emergere degli spunti sui quali lavorare è prendersi del tempo in un luogo dove, indisturbati, si possa lasciar andar la mente libera di spaziare ed annotando immagini e pensieri che stazionano in testa, che catturano la vostra attenzione, senza forzare. In un secondo momento li si può riprendere ed analizzare in maniera più specifica.
Buon business e buon divertimento a tutti voi.
Vittorio